Il piccolo Hans - anno XVI - n. 64 - inverno 1989-1990

no Manifesto tecnico della letteratura futurista): «il senso della continuità della vita e l'elasticità dell'intuizione che la percepisce». E si potrebbero mettere in luce altre affinità con la pra-. tica futurista, riscontrabili soprattutto in contesti palesemente vocati a restituirci l'ambiente urbano, le sue macchine, i suoi rumori: penso al trambusto dei tram in arrivo e in partenza in «Eolo», al chiasso dei furgoni postali, alle grida dei lustrascarpe, al tonfo ripetuto degli scaricatori di barili di birra, ecc. Del resto è la stessa studiosa a rilevare che molte delle caratteristiche linguistiche del monologo interiore si possono individuare anche nelle aree di narrazione oggettiva. Ciò non stupisce perché - come è stato osservato da molti - è spesso difficile in Ulisse stabilire dove finisce l'interno e dove comincia l'esterno, identificare ciò che è dentro e ciò che è fuori, il soggettivo dall'oggettivo, l'immaginario dalla realtà. 3. Il luogo del molteplice: la città Invero - e qui veniamo a uno snodo nevralgico - se l'interiorità è mobilità infinita, energia liberata, sovrapposizione, discontinuità, eterogeneità, conflittualità, ubiquità, dinamismo ecc, essa spesso di fatto coincide tout court con il luogo per eccellenza della non linearità, della percezione multipla, della mescolanza, della simultaneità e della propaganda pubblicitaria (si pensi anche al Bloom che monologa sull'efficacia retorica della réclame): vale a dire con la città. Da qui la riflessione che una valutazione sul monologo interiore va ben oltre quello che Joyce stesso considerava solo un espediente tecnico, un ponte strumentale su cui far passare quello che voleva significare. Essa di fatto si allarga e si rifrange sul tema molto più ampio della città, che equivale a dire: sul luogo e sull'es65

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