presto contaminato espressionisti, dadaisti (sì anche quelli di Zurigo dove Joyce viveva) e surrealisti. Sia chiaro: nel suo virtuosismo linguistico (come ho già avuto modo di illustrare in altra sede19 , e mi scuso se qui mi ripeto) Joyce ricupera e padroneggia magistralmente tutta una grande tradizione (i giochi di parole di Sterne, di Smollett, i calembours dei simbolisti ecc.) ma - ancora una volta - occorre ribadire che egli medita e fa uso sapiente degli aggiornamenti radicali apportati in particolare dal modernismo futurista. Come è noto, è presente in Ulisse non un modello solo del monologo interiore, ma tutta una varietà di modelli in rapporto ai personaggi, alle situazioni, ecc. Ci basti tener fermo quello generalissimo che viene fuori dalle indicazioni di Joyce che abbiamo inizialmente già citato e ricorrere all'utile e puntuale radiografia linguistica fattane da una studiosa finlandese, Liisa Dahl2°. Mentre la Dahl ha notato che i modificatori avverbiali in posizione frontale hanno in Joyce una sorprendente affinità con quelli presenti nei Lauriers sont coupés di Dujardin, non si è accorta che il catalogo che andava facendo dello specifico espressivo di Joyce, diciamo almeno per un terzo, ricalcava le ingiunzioni del manifesto marinettiano atte a rendere la vita intensa della materia. Per esempio: l'onnipresenza delle onomatopee per gli effetti sonori e auditivi, attuata con la moltiplicazione delle vocali e delle consonanti, cui conseguono i ben noti effetti iconico-tipografici; la frammentazione e l'assemblaggio delle parole, a sottolineare di volta in volta il rapido fluire delle associazioni o lo sviluppo graduale di una emozione, o spesso il puro gioco linguistico sottilmente o macroscopicamente dissacratorio, in linea con quel maximum di disordine raccomandato da Marinetti; ancora: l'assenza quasi totale di interpunzione nel monologo finale di Molly, i laconismi, le frasi nominali con verbi all'infinito per dare (e qui cito nuovamente dal marinettia64
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