Il piccolo Hans - anno XVI - n. 64 - inverno 1989-1990

Si aggiungano a ciò le testimonianze di un Joyce che dà precise indicazioni al dattilografo perché la lettera «e» sia iterata non meno di dodici volte in Steeeeeeeeeeeephen!15, nonché le istruzioni al tipografo di Digione, Darantière, perché ingigantisca i caratteri tipografici «plus grand» e «plus foncé». E come dimenticare che il testo stesso (nell'episodio di «Itaca») inscrive in sé la coscienza di una infinita potenzialità espressiva della parola scritta se solo (per ripetere le cogitazioni di un Bloom che, non dimentichiamolo, è un piazzista di pubblicità) si avesse l'avvertenza di condensare ai fini dell'attività che svolge Bloom simboli reclamistici, «vertically of maximum visibility» e «horizontally of maximum legibility»16? Tutto il capitolo del giornale non partecipa forse di quell'aspirazione che, sempre in «Itaca», Bloom alimenta nelle sue «final meditations»? E che vertono su: some one sole unique advertisement to cause passers to stop in wonder, a poster novelty, with all extraneous accretions excluded, reduced to its simplest and most efficient terms not exceeding the span of casual vision and congruous with the velocity of modem life17 Basti questo veloce rimando alla strategia figurale di Joyce per dire che la rivoluzione operata dall'avanguardia pittorica è tutt'altro che marginalmente incidente sull'opus joyciano, e meriterebbe un'analisi puntuale. Tuttavia, e qui riprendiamo il nostro discorso, non abbiamo nemmeno bisogno di postulare un Joyce particolarmente sensibile e attento alle proposte novatrici della pittura, in quanto Marinetti, a distanza di qualche mese dalla Prefazione alle Esposizioni del '12, già citata, con una operazione che denuncia un preciso ricupero di soggettività 18, elabora i concetti di «stato d'animo» e di «simultaneità» in letteratura, proponendo il Manifesto tecnico della letteratura futurista (maggio 1912) e i due successi62

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