Il piccolo Hans - anno XVI - n. 64 - inverno 1989-1990

In questi anni - in particolare dal 1907 (la data delle famose Demoiselles picassiane) al '15, è la pittura che tra tutte le discipline promotrici di rinnovamento è quella più radicale e sovversiva e che funge da forza trainante, togliendo il primato alla musica fino ad allora imperante. La polemica contro l'univoca prospettiva geometrica a favore di quella psicologica, il rigetto della tradizionale mimesi naturalistica ormai secolare, a favore dell'astrattismo, in somma del non figurativo, anticipa quella fatta in letteratura contro il romanzo «ben fatto», quando si contesta alla narrativa tardo-ottocentesca e alla sua anacronistica sopravvivenza la pretesa di procedere secondo la vecchia progressione temporale e discorsiva, come se fosse ancora credibile la tenuta di un universo compatto, garantito da un narratore omnisciente sempre più screditato e implausibile. E ricordiamo qui l'ipotesi di Lyotard in Discours, Figure (1971) quando sottolinea come sia proprio in pittura, nel figurale, in particolare in quello delle avanguardie, che il discorso (qui la pittura prospettica convenzionale) si apre - con la crisi e l'oltrepassamento della rappresentazione - ai ritorni eversivi del rimosso. Ora si badi. Non dobbiamo prendere partito per un Joyce figurale, anche se occasionalmente è doveroso farlo: per esempio contro certa disinvoltura della pur meritoria recente edizione critica di Ulysses, allestita da una équipe di esperti (per la massima parte tedeschi) sotto la guida di Hans Walter Gabler12 • E sia lecita qui una breve parentesi per ribadire, incidentalmente, come Ulisse affondi le radici nell'officina sperimentale di quegli «anni mirabili». Macroscopicamente disinformato sulla sperimentazione verbo-visiva del contesto avanguardistico tra futurismo e dadaismo in cui si colloca anche (e soprattutto) Ulysses, l'editor, come se si trattasse di decidere a suo piacere un tipo di carta piuttosto che un altro, ha di fatto ri60

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