Insomma, le avanguardie si fanno esprit nouveau dirompente - non dimentichiamolo - passando attraverso una vigorosa e trionfante fase di reazione antisimbolista, che non è lecito ignorare. Per avere un acuto interprete della dissoluzione simbolista e un primo azzeccato aggancio del monologo interiore con la modernità occorrerà aspettare il geniale Sergej Ejzenstejn, che vedeva nella tecnica del monologo interiore joyciano un'anticipazione del montaggio cinematografico modernista. Non a caso avanguardista militante egli stesso, Ejzenstejn proveniva dalla pittura e dal teatro sperimentale, era vicino al cubofuturismo di Majakowskij e ai collages di Rodcenko8 • Come dimostrano gli studi del compianto Ripellino, il regista era il più reciso sostenitore delle teorie marinettiane. Quando lascia il teatro e passa al cinema, e scrive nel '23 il famoso «montaggio delle attrazioni», il regista russo propone una scrittura filmica delle emozioni che - senza personaggi e senza articolazione narrativa - condivide nel monologo interiore il rigetto della sequenza logica e di tutte le forme cristallizzate della percezione, puntando, come il monologo, tutto sulla molteplicità, sulla discontinuità e sul montaggio puro delle associazioni, enucleando e accentuando dinamismi, contrasti e collisioni (si pensi a Sciopero [1924], alla Corazzata Potemkin [1925] ecc.). Un Joyce correlato alla tecnica del montaggio cinematografico, ma senza le connessioni avanguardistiche novecentesche (anzi il rinvio è ancora significativamente ai pittori impressionisti), è nella monografia di Harry Levin (James Joyce, che è del '41) e ritornerà più articolata nella monografia di Robert Humphrey (Stream of Consciousness in the Modem Novel, 1954), mentre nell'anteguerra, sia pure molto timidamente, Joseph Warren Beach (nel suo noto The Twentieth Century Novel, 1932) aveva già accennato a possibili omologie non solo con la tecnica cinematografica del dose-up e del ralenti, ma con la pittura 57
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