Il piccolo Hans - anno XVI - n. 64 - inverno 1989-1990

Il linguaggio di Joyce e l'episodio della Prankquean Finnegans Wake, 21.5 - 23.15 Il presupposto è la malleabilità di una lingua come l'inglese, tendenzialmente monosillabica e con una forte componente di omofonie perfette al livello di parole di uso comune - del tipo knight (cavaliere) / night (notte); reign (regno)/ rein (redine)/ rain (pioggia), e così via: sono i cosiddetti puns. Solo di rado intralcianti al livello della comunicazione quotidiana, si prestano alla manipolazione in sedi privilegiate, al livello popolare nelle taverne o nei pubs, in una dimensione definibile come «umoristicodemenziale»1; ma elaborazioni più ambiziose si trovano in quasi tutte le epoche della cultura anglosassone. Nel caso specifico di Joyce, il pun è l'elemento costitutivo del suo testo più ambizioso, Finnegans Wake. La lingua inglese è, tutt'oggi, una lingua radicalmente germanica; ma l'apporto neolatino è impressionante; forse è per questo che può sembrare una lingua «onnivora» (Jesperson); addirittura «anarchica», a dir degli ideatori di sistematizzazioni di stampo illuminista, del resto, sempre puntualmente fallite2 • Prendiamo ad esempio la grafia: la coesistenza, che dal Quattrocento si può descrivere come pacifica, di sistemi di origine totalmente diversa diacronicamente parlando (la presenza di forme espli189

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