Il piccolo Hans - anno XVI - n. 64 - inverno 1989-1990

promuoverà la comunicazione. Alla luce di questa drammatizzazione della teoria, in questo scritto critico, è pertinente interrogarsi sulla posizione del discorso critico stesso del nostro saggiò. Non ricadrà forse esso stesso in quella fissità che la scrittura di Joyce cerca di distruggere, nell'aggressività che s'impadronisce di Stephen nella Biblioteca? C'è del vero in questa contraddizione; ma ciò che distingue questa teoria da quella di Stephen è il fatto che il suo scopo è di far dialogare il testo di Joyce ponendo una serie specifica di domande, in questo caso domande di politica e sessualità, di lingua e di razza, che non possono essere ridotte a discorso letterario. È solo con un dialogo così eterogeneo che si può eludere l'universalità infamante dell'interpretazione letteraria. In conclusione, si possono fare ulteriori riflessioni sulla questione dell'identità nazionale che ha guidato questa lettura. Immediatamente messa in gioco è l'immagine dell'Irlanda, creata dal revival celtico e santificata dallo «Easter Rising», l'insurrezione di Pasqua, la cui forza non è diminuita nell'avanzare del secolo. Per Joyce il concetto di una cultura e di una nazione gaelica si era costituito come riflesso di una cultura inglese o sassone percepita come irrimediabilmente estranea. Compresa entro queste due identità immaginarie, la realtà dell'Irlanda moderna passava inosservata. La fatale rigidità dell'ideologia di Pearse è rappresentata chiaramente, e non si potrebbe trovare un esempio migliore, nellamostruosa stanza finale della poesia di Yeats «The Statues» (1938): 178 When Pearse summoned Cuchulain to his side, What stalked through the Post Office? What intellect, What calculation, number, measurement, replied? We Irish, born into that ancient sect But thrown upon the filthy modern tide

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