Il piccolo Hans - anno XVI - n. 64 - inverno 1989-1990

Il metodo di Stephen si avvicina a quello di Brandes ma è diverso da quello di Joyce. Dove Brandes e Stephen affrontano un testo per ricavarne un significato, Joyce riflette sull'atto critico in se stesso. Alla fine del c:apitolo, il vagamente buffo Richard Best, con i suoi inevitabili interrogativi, («don't you know?») sul futuro della teoria di Stephen, afferma: «Are you going to write it? You ought to make it a dialogue, don't you know, like the Platonic dialogue Wilde wrote» (U:213)13 • Ma non è come Dialogo Platonico che la teoria di Stephen vedrà la luce, quanto come un'indagine sull'interazione parola-azione nella Biblioteca. E ciò che di conseguenza viene messo in risalto è l'atto stesso dello scrivere che decostruisce la presunta centralità della parola. All'inizio del capitolo John Eglinton cerca di negare l'importanza di Ann Hathaway: - The world believes that Shakespeare made a mistake, he said, and got our of it as quickly and as best he could. - Bosh! Stephen said rudely. A man of genius makes no mistakes. His errors are volitional and are the portals of discovery (U:190)14 • Qui Stephen si trova intrappolato nel dilemma dell'in-­ terpretazione. Ben risoluto a non concedere nulla al caso, quel caso che potrebbe sconvolgere la sua idea circa la precisa identità di Shakespeare, Stephen vede che anche la sua stessa identità dipende dall'interpretazione, lo pone in una situazione di aggressione. Tuttavia, l'opera di Joyce mette l'enfasi sul caso, e l'ironia del testo inizia la sua azione di sconvolgimento nel momento stesso in cui la riga successiva prosegue: «Portals of discovery opened to let in the quaker librarian, softcreakfooted, bald, eared and assiduous»15 • Mentre Stephen è seduto nella Biblioteca e tenta di porre Shakespeare e se stesso al centro del mondo, le porte della Biblioteca si aprono e si chiudono, 165

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