Il piccolo Hans - anno XVI - n. 64 - inverno 1989-1990

vertiginoso. È pure vero che, con il tempo, l'abitudine al manifestarsi di sempre nuove e sorprendenti pratiche compositive, all'inesauribile serie di rovesciamenti parodici, ai prestigi formali, ci fa riconoscere in Joyce un maestro, pur incomparabile, del manierismo. La sua poetica ipermimetica e polistilistica lo porta a produrre forme nuove dell'«omato» che motivano, sul piano dell'espressione, il senso immanente delle sue architetture poli-labirintiche, dove le parole finiscono per moltiplicare indefinitamente le proprie possibili funzioni. La maestria indiscussa dell'autore giunge a evocare nel profilo della propria opera i labirinti «effettuali» di un'epoca culturale e letteraria giunta all'esaurimento, ma incapace, tuttavia, di morire. Forse il maggior valore iscritto nel lavoro dell'artista è quello di immetterci in circuiti di lettura orientati verso la sintesi impossibile di una cultura al tramonto. Uscire da questa selva di labirinti dimostrandosi impossibile, al mito di Dedalo viene spontaneo contrapporre quello di Icaro e allo «Artista giovane» non rimane che accettare la sfida di intraprendere un'opera che oscuri la «valentia» del maestro irlandese. Ma riannodiamo il nostro discorso, osservando come la cosa più ragionevole sia entrare in Ulysses dall'inizio, dal primo episodio, dove si assiste alla prima colazione di Stephen, Mulligan e Haines. Ma il tempo del narrato sovrappone a questo episodio («Telemaco») l'episodio della dea «Calipso», dove Bloom prepara (episodio quarto) un abbondante «breakfast» per Molly. Lo stesso episodio finale («Penelope»), attraverso il famoso monologo interiore di Molly (trentasei fitte pagine articolate in otto «frasi» di mostruosa lunghezza) ridisegna i tre protagonisti (Stephen, Bloom e la stessa Molly) della storia, facendo pensare a una riscrittura del libro che riafferma un proprio ulteriore avvio là dove ci si aspetta uno scioglimento delle tensioni narrative. 16

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