Il piccolo Hans - anno XVI - n. 64 - inverno 1989-1990

punto che il discorso prende di punta. All'alba, sotto una luce neutra, la spiaggia ancora compatta e liscia ha una sola linea di movimento, di articolazione: sulla battima, dove il fronte del mare avanza e di continuo retrocede, con variazioni minime. Sembra di decifrare lungo questa striscia qualche segno variabile - piede di bagnante molto mattutino, zampa d'uccello - ma ci si accorge presto che la sola, vera scrittura è tracciata da un confine d'ombra in avanzata e in ritirata-zona d'iscrizione, di trasformazione o deformazione, di riscrizione. Appare il senso di LITIORAL, litorale, come di confine che si sostiene del proprio venir meno ripetitivo. Ciò che riga, delimita momentaneamente il testo, senza essere mai un hors-texte. L'esperienza marina di qualche settimana fa s'inserisce con naturalezza nel discorso che sto svolgendo sulle pagine di Finnegans Wake; e di colpo mi autorizza ad applicare loro certi effetti della «condition littoral» (come direbbe ancora Lacan), proprio deducendoli dal fatto che vi si tratta della lettera (e della Lettera)19 • Metaforizzare criticamente, per un libro, appunto FW, nel quale il processo di metaforizzazione, ossia di condensazione, viene portato nel centro ultimo di ogni parola anzi di ogni elemento verbale fino a un delirio omonimico (tutto ha lo stesso senso, tutto ha lo stesso suono) è il meno che ci si possa aspettare. L'alterazione implicita, finisce per essere un buono strumento euristico. Il testo di FW potrebbe esclamare: «Nuper me in litore vidi»! 110

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