Il piccolo Hans - anno XVI - n. 64 - inverno 1989-1990

ners, cresce la distanza tra la costruzione del Libro e la raffigurazione del mondo, tra scrittura e narrazione, tra l'essere nel linguaggio e l'essere nel mondo (si veda la forte sensazione indotta di trovarsi a Dublino), per quanto il rapporto tra i termini in contrapposizione tenda sempfe a divenire complementare anche se la ristrutturazione senza residui pare impossibile. Una seconda osservazione riguarda le mutevoli positure richieste dall'opera joyciana. In modo riduttivo si può affermare che ovunque in Joyce la logica narrativa viene rispettata e la struttura semantica è coerente, mentre le forme del significante vengono gradualmente sempre più trasgredite, fino a raggiungere un'opacità quasi perfetta in Finnegans Wake. Ciò non toglie che già in Dubliners la lettura tenda a disarticolarsi se non si saturano implicature, ellissi, silenzi, se non si attivano segmenti di narrato di grado zero, presupposti dalla logica della narrazione. Mentre i luoghi da saturare, la loro distribuzione è oggettivabile, le modalità della saturazione non possono raggiungere la condizione della necessità incontrovertibile (neppure relativamente a un punto di vista metodologico o ermeneutico coerente in sé). In A Portrait ofthe Artist as a Young Man non è decidibile dove inizi la tensione lirica che definisce l'«Artista da giovane» e dove la lettera della diffusa epifania finisca per oggettivarne gli stati d'animo secondo i modi sfumati dell'ironia che orienta a dissolverne il medesimo alone epifanico in revisioni parodiche. In Ulysses, di cui tratteremo più analiticamente, ognuno dei diciotto episodi muta modalità di narrazione, mentre lo sviluppo del narrato avviene «regolarmente», per quanto la ripetizione di vari motivi porta la superficie referenziale e autoreferenziale a inabissarsi. In Finnegans Wake le condensazioni-disseminazioni di elementi lessicali e tematici contrappuntano il narrato al 11

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