Il piccolo Hans - anno XVI - n. 64 - inverno 1989-1990

tura non è un'altra lettura ma introduce (o meglio: produce) un uno-in-più. Nel retro del testo (come si direbbe: ho un pensiero, un'immagine nel retro della testa ...) si forma a tratti una macrofrase non-verbalizzata, che ricapitola e insieme liquida i sensi via via associati. Ogni pagina di FW risulta maggiore del totale delle sue parti. Il corpo di lettura del libro si zebra di iscrizioni intervallate da zone bianche, ma non mute - effetto del potere riconosciuto all'utente, di fare largo uso di un'attenzione ondulatoria, e dell'oblio. Letteralmente e metaforicamente, ha ragione Michel Butor: «Non, je n'ai jamais lu Finnegans Wake au sens où vous entendiez le mot lire»8 • Questi preliminari rendono ragione, in qualche modo, anche della scelta dell'oggetto della mia nota, l'episodio, peraltro famoso, del recupero della lettera da un mucchio di spazzatura, «Qungheap» operato dalla gallina Belinda of the Dorans; lettera, o mamafesta, di Anna Livia Plurabelle in difesa dell'onorabilità di Earwicker ( e forse rubata dal figlio Shem, che forse l'ha scritta lui sotto dettatura materna...). La sequenza fa blocco, occupando le pagine da 107 a 125 e praticamente costituisce la quinta sezione del primo Libro, preceduta soltanto dalle tre pagine che elencano gli ipotetici titoli sotto i quali il documento è stato conosciuto negli anni. Nell'organizzazione globale di FW tale episodio emerge come un'unità autosufficiente, autosignificante. Se si può tranquillamente postulare che ogni frammento del testo joyciano ne riproduca, come un ologramma, la totalità, il presupposto è tanto più sostenibile per questa sequenza. La scrittura con cui il lettore si trova ad avere a che fare, è un oggetto, un solido ma a quattro dimensioni: ossia un tessaract (termine che compare in FW [100], a proposito della natura mistica del papa, e viene sbrigativamen103

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