Il piccolo Hans - anno XVI - n. 64 - inverno 1989-1990

Hart si lascia sfuggire che «Joyce era una personalità schizoide»: il che, di là da ogni fondatezza nosologica, può andare benissimo per il nostro discorso, giacché cancella quel processo rettilineo. La forma dello schizoide, qui, sarà la curva, la voluta che cresce su se stessa, la spirale. «Mary had a little lamb...» - continuo il gioco di Hart - si può leggere benissimo come FW, e viceversa. L'importante è non lasciarsi siderare definitivamente neppure dai reticoli di sensi e apparizioni figurali che i coaguli e slogamenti verbali, i metaplasmi mettono in circuito. Il lettore appena informato delle procedure di Joyce, vede emergere nella pagina nodi di energia privilegiati a costruire una griglia che sembra già significare il testo di là dai canoni abituali. Penso che nemmeno questa sia la lettura di Joyce, almeno di FW, a dispetto della sua ricchezza e dei tesori di ingegnosità prodigati dagli esegeti. La famosa lettera di Joyce ad Harriet Shaw Weaver, del 23 ottobre 19287 , che dà una chiave di questa chiave analizzando un passaggio sulla follia e cecità di Swift, è a suo modo una trappola di puro stile joyciano. Contrazione/espansione dei significanti nel significante è dunque la modalità regia, non esclusiva. Un altro passaggio di lettera alla Weaver (27 giugno 1924) a proposito di una sequenza relativa a Shaun, presenta un'indicazione capitale: «Queste sono le parole che il lettore vedrà ma non quello che sentirà...». Qui il «sentire» esorbita il mero ambito del listen, dell'ascoltare; indizia, di là dallo scarto fra grafo e suono, altri momenti di lettura, quando la griglia cui ho accennato risprofonda nello sciame ronzante dei segni, sottraendosi tanto ad ogni addebito di falso quanto a ogni presunzione di definitività. Di lettura in lettura, i nodi di energia costituiti in costellazione slittano per entrare in nuovi sistemi. Ogni let102

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