Il piccolo Hans - anno XVI - n. 63 - autunno 1989

al desiderante, tanto lo desiderio è maggiore» (dove vi è l'immagine di un «motus in fine velocior», q.n'accelera.­ zione quasi di magnete); fino al Paradiso, dove il desiderio, incontrandosi con l'«amore» di Dio, «tutto il ciel move» (XXIV, 131) - in questo modo rimontando anche al proprio significato etimologico di «tendere in direzione delle stelle» - e si esaurisce solo per averlo raggiunto (Par. XXXIII, 48, «l'ardor del desiderio in me finii»). c) Per quanto riguarda invece il passo decisivo che bisogna compiere in direzione di una fisica moderna, l'attribuzione al tempo di un'autonomia rispetto al movimento, bisogna dire che Dante invece sta dalla parte della tradizione aristotelica, accogliendo le tesi della Fisica33 , sebbene correggendo la tesi della durata infinita del mondo del De caelo34 con l'idea di un tempo creato assunta da Agostino35 , Boezio36 e poi da Bonaventura e i Francescani37, ma comunque connaturato al movimento - si veda ad es. Par. XXV II, 106-120, dove il tempo è detto avere le proprie radici nel movimento estremo del Primo Mobile. Tuttavia, da una parte l'uso vario ma sempre piuttosto convenzionale delle nozioni intercategoriali di moto in Dante, e soprattutto quel concentrare l'attenzione sugli aspetti universali del movimento (incominciamenti, desiderio), testimoniano una tendenza a una considerazione critica del connaturarsi di tempo e movimento, sulla scorta di Alberto Magno38 e soprattutto delle teorie neoplatoniche di cui è un'eco così determinante nella Commedia. La tradizione procliana39 riportata nell'arabo Liber de causis riserva una notevole problematizzazione al rapporto di necessità fra tempo e movimento, innanzi tutto nell'affermazione dell'attività dell'intelligenza, che «non si muove in nessuno dei modi caratteristici del movimento corporeo»40. In generale, quindi: se anche il tempo, in questo contesto culturale, rimane legato necessariamente al movimento, ciò che interviene ad autonomizzarli non è 99

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