Il piccolo Hans - anno XVI - n. 63 - autunno 1989

tanto una ridefinizione dell'uno o dell'altro termine, quanto piuttosto una messa in discussione della necessità che li lega. Questa pare la via seguita da Dante: non, in definitiva, un'originale concezione filosofica del movimento, quanto un'aumentata attenzione alle radici del movimento, per scoprire come esso si leghi alla necessità: che esso è piuttosto il pretesto sensibile per pensare la necessità, la quale, a sua volta, non si basa che sulla propria relatività, e, in questo, ha termine, essendo pensata solo perché origina da una discontinuità costitutiva. Lo si legge nell'autore più vicino a Dante, per la sua «dolcezza» oltre che per il suo destino. Boezio, parlando della conoscenza divina - definita propriamente «providentia», cioè «che vede tutto quanto in prospettiva, per così dire, dall'eccelso vertice dell'universo»-, aggiunge: «Perché dunque pretendi che diventino necessarie le cose che sono investite dal lume divino, quando neppure gli uomini rendono necessarie le cose che vedono? Forse che, in realtà, il tuo sguardo aggiunge qualche necessità alle cose che tu vedi presenti?»41 . Si noti la netta somiglianza del brano di Boezio con la spiegazione di Cacciaguida - che è la «radice»42 stessa di Dante - sulla questione della necessità dei destini: la contingenza è relativa alla materia, se vista nella prospettiva di Dio, e così necessità però quindi non prende se non come dal viso in che si specchia nave che per torrente giù discende. (Par. XVII, 40-2), ricalcando l'esempio boeziano di un uomo guardato camminare43 - ma anche richiamando al lettore moderno certe immagini cartesiane o kantiane di fiumi e di barche, o di case e di fondamenta. Il movimento mette in luce una discontinuità a livello della necessità-qui può realizzarsi l'eco 0 piena dell'influenza 100

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