Il piccolo Hans - anno XVI - n. 63 - autunno 1989

2. Il ritmo come anteriorità Padre fondatore di questo modo di vedere è Osip Brik (1927) che, respingendo con violenza ogni possibile motivazione antropologica del ritmo, finisce col postulare un ritmo puro, disinvestito, anteriore al porsi del simbolico: non è il verso che spiega il ritmo, è il ritmo che spiega il verso. «Il movimento ritmico è anteriore al verso [ ...] L'impulso ritmico sussiste nella coscienza prima di ogni sua materializzazione» 7 • È noto come Valéry abbia recato in proposito una sua testimonianza, ma che, a ben vedere, non è priva di contraddittori risvolti. «Fui colpito da un ritmo che s'impadronì di me». ll ritmo è allora una danza mentale, un diagramma astratto o, come precisa lui stesso, «una struttura vuota», a partire dalla quale può iniziare il più cosciente lavoro poetico. Sulla priorità del ritmo rispetto al senso (rispetto anche al suono?) egli è perentorio: «La poesia comincia in me con la semplice indicazione di un ritmo che poco per volta si dà un senso»8 • Parlando della genesi del Cimetière marin, le cose si complicano. Dapprima c'è una dichiarazione in linea con le precedenti:«Una figura ritmica vuota [...] che venne a ossessionarmi per alcun tempo»9 • Poi c'è la confidenza del poeta raccolta da Marcelle Crespelle sul ruolo del «rubinetto che perdeva» nella genesi delle prime sillabe:si noti allora come si tratti di un ritmo esterno, naturale e non certo privo di valenze semantiche precise. Infine, più conturbante, una confessione dei Cahiers (IV, 1910). Valéry rievoca lo sfuggente contorno di una violenta esperienza emotiva:«Ancora in tenera età, ho forse udito una voce, un contralto profondamente commovente... Quel canto mi mise in uno stato assolutamente senza precedenti [...] Inconsapevolmente m'è servito per misurare altri stati emotivi, e per tutta la vita mi sono sforzato di fare, di cercare, di pensare ciò che avrebbe direttamente restituito, in me, necessitante, lo 70

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