Il piccolo Hans - anno XVI - n. 63 - autunno 1989

co, una improbabile elaborazione psichica di una congestione somatica. Le tarde puntualizzazioni di Inibizione, sintomo e angoscia soffrono già di pedanteria, da cui i tentativi di usare il pensiero di Freud come una «caratteristica» lulliana: come cioè se il maneggio di una terminologia potesse di per sé produrre conoscenza. In realtà, c'è un testo freudiano che consente la collocazione dell'angoscia. Ma il fatto che Freud ce l'abbia offerto come relazione fedele di un caso senza peraltro trarne le conseguenze possibili, ha fatto sì che si continuasse a rivolgersi al catalogo dei termini «descrittivi» per sopperire al vuoto di sapere. «Aggressività» e «depressione» hanno caratterizzato i giovani psicoanalisti in formazione, primi pazienti di una mancata teoria. /;angoscia, di fatto, si colloca proprio sull'orlo di un vuoto di sapere. È la minaccia del venir meno di qualcosa che si sa, di fronte alla misura del divario che si annuncia tra il soggetto e il resto. In altre parole, è il vacillare delle teorie sessuali infantili di fronte al quesito «da dove vengono i bambini», è l'incombenza del seme paterno, è la sproporzione tra il bambino e il padre e, in tutto ciò, è il muoversi pericoloso di un inanimato, che è ancora il seme, verso l'animato, per cui è importante chiarire con Hans, è questo il testo freudiano, che la sedia non ha il fapipì. Allora vediamo come questo «vuoto di sapere», invece di èssere paralizzante se coperto da termini psicologistici, è lo spazio di una costruzione molto interessante, che coincide con la costituzione del soggetto. /;angoscia preserva dall'anxiety, perché si sa dove muoversi, e tiene lontani dall'agony, perché non piomba nell'indiscriminato e nell'indistinto, cioè nell'orrore. Lo spazio su cui si affaccia ha innanzitutto dei confini, che il bambino traccia nella sua casa, di fronte alla sua casa, nel suo tratto di campagna, è il recinto del Dazio di 6

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