referente (alle pp. 40-41 ne dà quattro versioni), del codice (concetto di cui rimane soltanto un Eco, esorcizzato com'è con inconcludenti digressioni sulle teorie del simbolo e della metafora) e del messaggio; né, all'inverso, può dare collocazione semiotica ad entità metapsicologiche come il freudiano "sistema Percezione-Coscienza". Ma l'A. non porta a termine neanche il secondo compito delineato sopra: se la funzione fàtica è assimilata all'esame di realtà (p. 45 sgg), nessuno statuto psicoanalitico viene assegnato alle altre funzioni biihleriane-jakobsoniane; né, all'inverso, viene assegnato statuto semiotico alle funzioni freudiane di desiderio, coscienza ecc. Non analizziamo qui l'altra possibilità di una "semiotica psicoanalitica": quella della costruzione interdisciplinare di un apparato concettuale che permetta di affrontare meglio, e magari risolvere, questioni linguistico-metapsicologiche complesse; lasciamo al lettore il gusto di controllare le indicazioni di Quintavalle - che a questo punto abbandona Jakobson per buttarsi su Greimas-in merito all'interpretazione del sogno. Più ci preme considerare l'altro progetto dell'A.: "semioticizzare", fondare semioticamente la teoria coinemica (che è pur sempre una semantica psicoanalitica) analizzando strutturalmente il "significato affettivo . Un primo presupposto dell'A. è l'inesistenza semiotica del coinema «fino al momento in cui esso nori viene significato, quale-funtivo di una funzione segnica» inconscia (p. 111). Ne consegue che, anche se il coinema può essere inteso contemporaneamente come "esterno" alla semiosi (Fornari direbbe "precedente") e come "interno" alla semiosi, «soltanto in questo secondo caso si potrà propriamente parlare di un suo statuto semiologico» (p. 112) giacché nel primo caso siamo in pieno biologismo. Un secondo presupposto è che «il coinema, sia inteso come moto pulsionale, sia come denotato ulteriore della significazione, attiene sempre al processo primario, men55
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