tuzionale, evitando ingorghi simbolici e forse punendo le infrazioni al codice. Purtroppo non c'è spazio, in questa sede, per rilevare la diversità politica tra le varie elaborazioni antipsichiatriche, che partono dal presupposto di una non-collaborazione col potere statale (al di qua di ogni eventuale mito dello schizofrenico come anti-capitale), e questa analisi istituzionale che- reclamando per l'analista una "funzione semaforica" altre volte rivendicata dai semiologi- non solo asservisce la pratica psicoanalitica a un'ipotesi razionalizzatrice di eliminazione delle contraddizioni, ma rimanda anche la teoria al vaglio di «una istituzione scientifica [la Società psicoanalitica italiana?] che si pone come luogo di validazione pubblica dei codici simbolici» (p. 24). Ci limiteremo, pertanto, ad accennare ai due capitoli del libro che possono interessare i rapporti tra teoria coinemica e lacanismo: l'ottavo, "Simbolo e codice nella didattica psicoanalitica"; e il primo, "Semiotica dell'interpretazione psicoanalitica e processo terapeutico". Nell'uno (quello sulla didattica psicoanalitica) l'A., pur non citando mai i lacaniani come controparte, ribadisce in sede pratica la necessità che la formazione dell'analista avvenga tramite analisi personale (tramite, insomma, la specifica analisi didattica al di là dell'analisi terapeutica) e poi con l'analisi di controllo; il che, ribadendo l' auctoritas dell'analista-supervisore (che detiene il codice) contro ogni contestazione vista come «l'equivalente dell'assoèiazione libera» (p. 254) ovvero simbolo confusivo, è l'esatto contrario dello slogan lacaniano «l'analista si autorizza da sé». Nell'altro capitolo (quello su interpretazione e terapia) l'A., pur citando in nota Lacan (nei soliti termini di «per i rapporti tra psicoanalisi e linguistica è fondamentale il riferimento a»), ripropone in sede teorica la giustezza dell'interpretazione simbolica (enmasse, come diceva Freud): «la psicoanalisi è soprattutto analisi-simbo51
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