Il piccolo Hans - anno XVI - n. 63 - autunno 1989

Antigone, dice ancora Lacan, rappresenta «ciò che si può chiamare il desiderio puro, il puro e semplice desiderio di morte come tale. Questo desiderio, ella l'incarna» (EP, 329). Antigone, evidentemente, non è disposta a cedere sul proprio desiderio: e se in ciò ella sembra aderire all'unico precetto dell'etica psicoanalitica, non vi è dubbio che l'analogia fra psicoanalisi e tragedia debba venire ulteriormente interpretata. Ma non anticipiamo. Torniamo a considerare la differenza fra ate e amartia: fra un errore strategico, virtualmente reversibile, e una trasgressione che si preclude ogni via di ripensamento. Ate taglia i ponti alle spalle dell'eroe che si è inoltrato - o ha sostato troppo a lungo- oltre il limite: non gli concede altra scelta che quella di esasperare il suo carattere om6s. Dopo averlo privato di ogni flessibilità, di ogni potere mutante, lo sospinge verso la sola metamorfosi a sua disposizione, quella di Niobe. Si ricorderà che proprio a Niobe, colei che viene lentamente pietrificata, si paragona Antigone, mentre viene condotta verso la tomba (v. 832-33). Ate è dunque l'errore che la metis non può impedire, né attenuare, né redimere; è il limite oltre cui lo strategico si dissolve. Non siamo del tutto certi, però, della legittimità di una netta distinzione tra ate e amartia. E che tali concetti debbano in qualche modo essere collegati, lo confermano le esitazioni del testo lacaniano. Consideriamo meglio l'errore di Creonte: Ma l'amartia non si colloca a livello del vero eroe, bensì a livello di Creonte. Il suo errore di giudizio [...] è di voler fare del bene di tutti non il Bene Supremo - non dimentichiamo che il testo risale al 441 a.C. e che, del Bene Supremo, Platone non ha ancora forgiato il miraggio-, ma la legge senza limiti, la legge suprema, la legge che varca, che oltrepassa il limite (EP, 301). 41

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