Il piccolo Hans - anno XVI - n. 63 - autunno 1989

rore puro, la decisione svincolata dalla motivazione e dal calcolo, la «decisione decisa» - dal desiderio. Per Antigone, non può trattarsi che di un desiderio di morte; una vocazione che la fanciulla afferma esplicitamente: ... la mia vita già da tempo è morta (v. 559-60). E se morrò prima del tempo, questo io lo chiamo un guadagno (v. 461-62). Commenta Lacan: La discendenza dell'unione incestuosa si è sdoppiata in due fratelli, uno che rappresenta la potenza, l'altro che rappresenta il crimine. Non c'è nessuno per assumere il crimine, e la validità del crimine, se non Antigone. Tra i due, Antigone sceglie di essere puramente e semplicemente la guardiana dell'essere del criminale in quanto tale. Senza dubbio la vicenda avrebbe potuto arrestarsi se il corpo sociale avesse voluto perdonare, dimenticare, e coprire tutto ciò con gli onori funebri. Ma in quanto la comunità vi si rifiuta, Antigone deve sacrificare il suo essere al mantenimento di quell'essere essenziale che è l'Ate familiare - motivo, vero e proprio asse intorno a cui ruota tutta questa tragedia. Antigone è colei che rende perpetua, eterna, immortale questa Ate (EP, 329). La teoria d�l tragico in Vernant e Vidal-Naquet, con il conflitto tra Ethos e daimon che scuote fino alle radici la personalità dell'eroe, reca elementi di conferma a questa interpretazione. Antigone è abbarbicata al daimon dei Labdacidi, all'Ate familiare, alla trasgressione - non si può chiamarla semplicemente «errore» - che si estende come una macchia sui membri della sua stirpe. E l'esistenza le è intollerabile. 40

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