Il piccolo Hans - anno XVI - n. 63 - autunno 1989

oltrepassare troppo a lungo. Il testo del Coro è significativo e insistente - ektòs atas. Al di là di ate, non si può passare che un tempo assai breve, ed è là che vuole andare Antigone (EP, 305). Così la nozione di «errore» si lega a quella del «tempo»; entrambe sono rivolte alla «frontiera» che attrae, perché nega e contemporaneamente offre l'impossibile. È precisamente questa la soglia che Ismene si rifiuta di varcare (v. 90 - «Se lo potrai; ma brami l'impossibile»; v. 92 - «Ma fin dal principio non bisogna cercare l'impossibile»), e che - come si è detto - Antigone oltrepassa ripetutamente: la sua azione si riferisce alla Cosa, dunque non può che ripetersi nella propria strutturale incompletezza. Ma, traducendo ate con «limite oltre il quale non è permesso restare troppo a lungo», non si allude anche alla flessibilità della nostra natura? Il soggetto umano non è tanto un'essenza, quanto una frontiera esplorata dai gesti che la varcano, un territorio definito dalle ricognizioni che ne oltrepassano i confini. Sorge spontanea, a questo punto, l'associaziony tra ate e amartia, l'errore di cui si rende responsabile il personaggio della tragedia, e che viene generalmente seguito dalla catastrofe. Associazione suggerita anche da Aristotele, ma nella quale Lacan vede una sovrapposizione discutibile: «l'amartia non si colloca a livello del vero eroe, bensì a livello di Creonte» (EP, 301). E ancora: «I.:ate non è l'amartia, la colpa o l'errore; non è fare una sciocchezza» (EP, 323). Si potrebbe interpretare così la differenza: amartia è l'errore strategico, dovuto a orgoglio, ostinazione, ecc. Esso non ha il carattere dell'irreversibilità, vale a dire che, fino ad tin certo momento, l'eroe farebbe ancora in tempo a tornare indietro, a rivedere la sua decisione. Non l'errore di per sé, ma il suo prolungarsi, la tardività della resipiscenza, è causa di conseguenze rovinose. Mentre l'amartia è l'errore del «troppo tardi», ate è l'er39

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