Il piccolo Hans - anno XVI - n. 63 - autunno 1989

vo nei confronti dell'identità del soggetto: occorre rispondere «alla domanda di non soffrire - perlomeno, senza comprendere - nella speranza che, mediante il comprendere, si libererà il soggetto non solo dalla sua ignoranza, ma dalla sua stessa sofferenza» (EP, 16-7). Per quanto riguarda infine l'ideale della non-dipendenza («o, più esattamente, una profilassi della dipendenza», EP, 19), acquistano rilievo tutte le riserve della posizione freudiana nei confronti dell'educazione, dell'analisi come ortopedia. Se c'è una differenza tra l'etica classica (ad esempio, quella aristotelica) e l'etica psicoanalitica, essa sta nel fatto che la prima è una «scienza del carattere», riguarda la formazione del carattere, la dinamica delle abitudini, mentre la seconda implica necessariamente «la cancellazione, la messa in ombra, il ridimensionamento, se non addirittura l'assenza... dell'abitudine, buona o cattiva che sia» (EP, 19). In quanto appartiene all'ambito della ragione soft, la psicoanalisi mira a sciogliere il soggetto dalle sue rigidità, facendo appello al regime dell'inconscio e del desiderio: e «l'essenza dell'inconscio s'iscrive in un registro differente da quello su cui, nell'Etica, Aristotele pone l'accento con un gioco di parole, E1'.toç/ij-&oç» (EP, 19). Bisogna attendere le ultime pagine del Seminario VII per ritrovare un'enunciazione in positivo dell'etica freudiana: in un immaginario Giorno del Giudizio, l'unica domanda che ci verrebbe rivolta da un tribunale «analitico» sarebbe questa: «Avete agito in conformità con il desiderio che abita dentro di voi?» (EP, 362). Io propongo che la sola cosa di cui si possa essere colpevoli, almeno nella prospettiva analitica, è di aver ceduto sul proprio desiderio (EP, 368). In tale formula si compendia tutto l'insegnamento lacaniano sull'etica. Può sconcertare il fatto che un'enuncia27

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