Il piccolo Hans - anno XVI - n. 63 - autunno 1989

prospettive di un'educazione, di una maturazione, di un adattamento alla realtà? Quello che la tradizione umanistica europea presenta come un progresso, sia pure ottenuto a prezzo di un sacrificio (ma di che cosa, se non del cieco egoismo pulsionale?), appare nella prospettiva psicoanalitica come un tragico cedimento. Come una rinuncia all'autenticità del desiderio, come la prima grande menzogna-protonpseudos - che sta alla base dellamorale e della civiltà. L'etica è la promessa del Bene Supremo, raggiungibile tramite l'adesione a valori pubblici, civili. E questo ritratto vale più che mai per l'etica laicizzata, costruita sulla base di un consenso razionale. Senza dubbio, il Bene Supremo potrà venire inteso come un ideale regolativo (in senso kantiano): nondimeno esso esiste, ed è il criterio sul quale commisurare il comportamento empirico dei soggetti. O, se non esiste, esso è valido - il suo essere è l' essere del valore, per quanto Heidegger inorridisse di fronte a questo sintagma della modernità. Il Bene è la meta su cui intelletti onesti, orientati chiaramente verso l'agire comunicativo, possono idealmente convenire. Relativamente a tutto ciò, l'impostazione freudiana è rivoluzionaria perché (lo abbiamo già ricordato) asserisce che «non c'è Bene supremo, benché non vi sia altro bene» (EP, 85). La meta a cui si dirigono universalmente i soggetti non è un oggetto a cui la razionalità riesce ad avvicinarsi - magari per approssimazioni successive: la meta delle pulsioni è das Ding, come causa pathomenon, la causa della passione umana più fondamentale (EP, 116). Non c'è progresso rispetto a tale meta: das Ding, in quanto l'uomo, per seguire il cammino del suo piacere, deve letteralmente farne il giro (EP, 114). Non esistono avvicinamenti progressivi, ma solo l'infini25

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