Il piccolo Hans - anno XVI - n. 63 - autunno 1989

terapia. Finché non abbiamo compreso nulla, nulla abbiamo concluso; quanto più impariamo a comprendere tanto più riusciamo a fare» (Freud, 1910, p. 197). Ma il riuscire a fare implicava anche di riuscire a formalizzare all'interno di un quadro teorico di riferimento sufficientemente saldo e adeguato le modalità che regolano, rendendola possibile, l'esperienza analitica. Non era un compito facile, perché «l'infinita molteplicità delle situazioni che si presentano in analisi non permette di formulare regole generali su quello che dovrebbe essere il modo di agire dell'analista in ogni singola situazione, poiché ogni singola situazione costituisce essenzialmente un caso a sé» (Fenichel, 1941, p. 7). Ben consapevole di questa dimensione del procedimento analitico, Freud l'aveva accostato al gioco degli scacchi, in cui «soltanto le mosse di apertura e quelle finali consentono una presentazione sistematica, mentre ad essa si sottraggono le innumerevoli svariatissime mosse che si succedono dopo l'apertura» (Freud, 1913, p. 331). Ne consegue che nel trattamento analitico, restando nella metafora del gioco degli scacchi, «soltanto un assiduo studio di partite i. n cui abbiano gareggiato dei maestri può colmare la lacuna esistente in queste istruzioni» (Freud, 1913, p. 331). Come maestro dei maestri Freud non poteva non porsi il problema di sopperire, per lo meno con una serie di indicazioni tecniche orientative, ad una esigenza sempre più sentita man mano che aumentava intorno a lui il numero di seguaci che intendevano dedicarsi alla professione analitica. Il progetto iniziale di un'ampia opera sistematica, già ventilato nel 1908 all'epoca del Congresso di Salisburgo, fu da Freud ridimensionato, concretizzandosi tra il 1911 e il 1914 nella pubblicazione di due gruppi di tre brevi quanto fondamentali saggi3, che divennero il punto di riferimento per ogni discorso sulla tecnica. 164

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