Il piccolo Hans - anno XVI - n. 63 - autunno 1989

lità del metodo clinico-descrittivo. Solo così la psichiatria può costituirsi quale branca del sapere medico e affrancarsi dalla speculazione filosofica e da ogni riduzione «morale». In questo spirito, Kahlbaum ha esaminato (1863) in modo critico i vari sistemi della nosografia precedente, ispirati più ad una coerenza e simmetria interne che non preoccupati di un esame di realtà. Il metodo clinico-descrittivo consiste nell'identificare, con attenzione al quadro sindromico ma con attesa della sua diacronia, figure che, come nel caso della «paralisi generale» di Bayle, possan� poi venir convenientemente precisate nei loro aspetti «organici». E questo che Kahlbaum propone a Hecker, mettendolo a parte in modo diretto della sua personale esperienza. Kahlbaum ha descritto la «catatonia» nel convegno di Innsbruck del 1868 e sta lavorando a una monografia sull'argomento; si è inoltre preoccupato di stendere una trattazione della «paranoia». Sulla base di un lavoro concretamente impegnato nella pratica clinica, Hecker ha buon gioco nel sottolineare i tratti comuni tra la ricerca di Kahlbaum e la propria e quanto Virchow ha appena sostenuto nel Congresso medico a Francoforte. Lo psichiatra non deve limitarsi a rilevare i sintomi e a far coincidere l'entità morbosa con lo stato d'animo che la caratterizza. La «depressione», è l'esempio scelto da Hecker, quante realtà cliniche può coprire! Bisogna quindi sollevarsi da questi vissuti, cogliere elementi che si leghino secondo una definita costanza, comporli pazientemente in sindromi le quali, oltre le fallaci apparenze empiriche, occorrano con incidenza e modalità specifiche. Nell'illustrazione del metodo clinico-descrittivo, Hecker non si sofferma solo a riflettere sugli studi e gli appunti inediti di Kahlbaum, né si limita a una formulazione teorica, ma introduce, l'abbiamo ricordato, l'esempio clinico dell'«ebefrenia». Alla descrizione lo esortano le osservazioni condotte per anni con Kahlbaum eppure il quadro finale mantiene un significato autonomo: coglie, come lo stesso nome recita, una forma di psicosi giovanile destinata a una posizione stabile nelle successive classificazioni. Eppure la sindrome di Hecker è qualcosa di più di un'acquisizione nosografica: oltre che dalla costanza della sintomatologia, la forma è caratterizzata dal tempo del suo apparire nella trama dell'esistenza, e segna un momento critico di passaggio tra adolescenza e maturità, delinea con esattezza nell'universo nebuloso della «vesania» e della «psicosi unica» (Einheitpsychose) la frattura psicotica giovanile. I due studi del 1871, l'uno teorico e l'altro clinico, illuminano un modo nuovo di guardare in psichiatria; e allo sguardo subito si aggiunge l'esigenza di uno stile, di un fare che sia coerente nella modernità alla rivoluzione epistemologica. Le scelte di Ewald Hecker si delineano attraverso un percorso esemplare. Nato a Halle a. S. il 20 ottobre 1843, egli si dedica prima agli studi di architettura, quindi frequenta la facoltà medica di Konig142

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