Il piccolo Hans - anno XVI - n. 63 - autunno 1989

ra al centro del campo della sua direzione dell'etica (EP, 36). Non c'è motivo di sorprendersi, dunque, di fronte alla «dominanza dell'edonismo nella morale di una certa tradizione filosofica» (EP, 218). Lungi dal rappresentare un degrado dell'etica a causa dell'introduzione di criteri pragmatici, l'utilitarismo fa affiorare in superficie quella solidarietà del Piacere e del Bene, che le versioni più «disinteressate» e ascetiche non hanno saputo negare completamente. Neppure in Kant si arriva a una separazione definitiva tra i due termini: il postulato dell'immortalità dell'anima, fondato sulla necessità di un prolungamento della nostra esistenza affinché sia possibile adeguare felicità e virtù, non scaturisce tutto sommato da una mentalità «contabile»? «Kant ha potuto ridurre alla sua purezza l'essenza del campo morale, e ciò nonostante nel suo punto centrale ha sentito la necessità di riconoscere uno spazio per la contabilizzazione. Questo, e nient'altro, significa l'orizzonte della sua immortalità dell'anima» (EP, 366). Tornando all'utilitarismo, esso s'iscrive a tutti gli effetti nel solco tracciato da una lunga tradizione, pur con una carica demitizzante: la prospettiva platonica e aristotelica del Bene supremo viene ricondotta a una «economia dei beni» (EP, 256). Vedremo in seguito il limite di questa secolarizzazione, tutta interna al rapporto tra principio di piacere e principio di realtà. Tra i desideri che essa pretende di saper amministrare non c'è il desideriopuro, ostile, per essenza, all'«economia». Tra le illusioni-o nuove mitizzazioni-degli utilitaristi c'è la pretesa di poter armonizzare il bene del singolo con quello di tutti, addomesticando la conflittualità radicale che sorge nel cuore stesso del desiderio. Essi non credono al terzo paradosso, quello del Wunsch imperioso: 14

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