Il piccolo Hans - anno XVI - n. 63 - autunno 1989

Nel '64 egli approntò, poi, un poscritto al lavoro del '59 sopra citato, nel quale detta gli assiomi fondamentali del crollo mentale riproposti dall'autore in questo più tardo lavoro del '71. Qui l'espressione sino allora usata da Winnicott di crollo mentale, divenne semplicemente paura del crollo, che elidendo la parola mentale precipita ancora di più la direzione della lettura in un senso arcaico e infantile di mancanza o di fallimento dell'organizzazione difensiva in rapporto alle esperienze originarie e alle vicissitudini ambientali dell'infante. È dunque in maniera sottile che, nel tempo, Winnicott delinea una lettura della malattia psicotica non come «crollo» bensì come un'organizzazion� di difesa patologica contro l'angoscia impensabile derivante, al piccolo, dall'entrare catastroficamente in contatto con quelle agonie che solo una madre «sufficientemente buona» è in grado, attraverso l'identificazione con il suo bambino, di contenere e rendere pensabili. La continuità dell'esistere è garantita infatti al bambino, che ancora non differenzia il «non me» dal «me», di contro all'angoscia di annientamento e all'insorgere di angosce arcaiche e impensabili (definite da Winnicott da un lato come «materia prima delle angosce psicotiche» e dall'altro come «elemento centrale di un aspetto dello sviluppo normale») dalla funzione dell'ambiente supportivo (la madre ambiente), dal sostenere e considerare (holding) operati da una madre «sufficientemente buona» e «normalmente devota» in grado di proteggere il bambino da «qualsiasi urto» (impingment) che possa, appunto, interrompere la continuità dell'essere. La paura del crollo, della catastrofe, del collasso, diviene allora la paura di quelle terribili e minacciose agonie primitive che, filogenesi e ontogenesi, originarono- per l'assenza di una barriera, di «uno scudo che protegge dagli stimoli»5, del, vale a dire, holding materno- la struttura difensiva patologica del bambino. «Dobbiamo utilizzare - scrive infatti Winnicott- la parola crollo per descrivere l'impensabile stato di cose che sottende l'organizzazione difensiva». Nel difficile stadio della «non integrazione» - sostieneWinnicott nel '62 - è necessario non considerare il bimbo come un individuo che ha fame e le cui pulsioni istintuali possono essere soddisfatte o frustrate, ma bisogna invece considerarlo come un essere immaturo che è sempre sull'orlo di un'impensabile angoscia6 • E in questo scritto del '71 aggiunge, perseguendo la stessa ottica di convergenza tra il «potenziale di sviluppo» e l'«insienie delle cure materne», che «sul limitare della vita del soggetto il crollo è già avvenuto». È dunque su di un orlo, su di una soglia agonica, fra la non esistenza e l'esistenza, che nella vita di questi soggetti ci sono eventi accaduti, ma non sperimentati: eventi minacciosi quali l'andare a pezzi, il cadere per sempre, l'essere senza alcuna relazione con il corpo, l'essere senza orientamento7 • Niente tuttavia che abbia a che fare con un trauma tradizionalmente inteso, piuttosto somiglia a un urto (impingment è, d'altra parte, la parola che Winnicott usa 125

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