Il piccolo Hans - anno XVI - n. 63 - autunno 1989

sponsabilità», «intenzione», e altri dello stesso genere, mutano unicamente la lunghezza del raggio lungo cui scorre la volontà dei singoli. Le etiche «corte» diluiscono l'universalità dell'imperativo categorico, e ne attenuano l'incondizionatezza; ma, salvo abdicare completamente, ripropongono una fiducia modesta e infrangibile nell'autonomia. Dunque, i confini di questo territorio racchiudono tutti i concetti che la tradizione dell'Occidente è disposta a riconoscere come pertinenti alla riflessione etica: più oltre, si apre lo spazio sconosciuto e notturno di un pensiero che chiameremo extra-morale, e di cui si tratterà di identificare in primo luogo gli abitanti. Con il termine extramorale non si presume di indicare un «altrove» assoluto: concordiamo con Jankélévitch2 sull'impossibilità di sottrarsi al problema etico, indirettamente riproposto dalle sue negazioni. Qui si allude invece a una tradizione di pensiero accomunata dalla convinzione che egualmente impossibile e illusoria sia l'autonomia dell'etica. Non che si voglia tornare a un'eteronomia intesa pre-kantianamente: il punto di partenza per questa riflessione notturna è la non trasparenza del soggetto, la sua pluralità, la sua dipendenza ontologica dal regime del desiderio. Prima di Freud e di Lacan, alcuni «analisti del cuore umano» come La Rochefoucauld, Stendhal, Nietzsche, hanno mostrato come il soggetto non sia padrone a casa propria, e quindi non possa sperare di esserne il legislatore. Nello stesso tempo, hanno escluso l'equivalenza di tutti i comportamenti e di tutti i valori, e non hanno rinunciato a disegnare le forme di una esistenza più autentica, «superiore». Dunque, il pensiero extra-morale non annulla le istanze dell'etica - e prima fra tutte il suo diritto a esistere come problema; ma respinge la pretesa di potersi addentrare ex abrupto, in base ad una volontà e a una scelta immediate, nello spazio dei valori: le scelte etiche devono preliminarmente essere «scelte», cioè si deve sa12

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