Il piccolo Hans - anno XVI - n. 63 - autunno 1989

sigillo; come esemplare è la forma della divinità: essendo luogo della discesa divina è la forma più perfetta. Non è rappresentabile perciò, da subito, con un nome, ma immediatamente attraverso un verbo, «Ave», come i neoplatonici arabi si sforzavano di rappresentare l'essere- non con un infinito, «esse» (che rischiava d'essere sostantivato come un «ens»), ma con l'imperativo «Esto». Inoltre la dinamica rappresentata nell'«Ave» - come in un sigillo, che fornisce un'immagine perfetta, ma perciò stesso invertita- è infine realizzata nell'inversione di «Eva», che è l'inizio della storia e dell'esperienza umana. Dante riprende il comune concetto medievale di questa lettura retrograda ih Par. XXXII, 4-6, facendone il simbolo generativo dell'Assunzione, modello di reditio. La funzione di Maria come sigillo di eternità e storia, non-discorsività e «discorrimento», è presente in altri luoghi del Paradiso, ad es. XXIII, 110, e specialmente in XIII, 67-84, dove lo stesso schema di ricettività divina è attribuito insieme alla Prima materia e alla «Vergine pregna». b) Anche da un punto di vista filosofico e teologico il sigillo, come Maria, è il luogo in cui il fine si stampa come forma: è Dio innanzi tutto, che sigilla, non muovendo: Par. VII, 68-9, «non si move I la sua imprenta quand'ella sigilla». Come ogni discorso tace di fronte al bassorilievo del sigillo nel silenzio e nelle assenze della I cornice; così il discorrimento delle cause si ferma davanti al fatto che se il fine stampa una forma, l'altra faccia del fine rimane inaccessibile, nella trascendenza. Il passaggio è segnalato da un luogo del Purgatorio, il dubbio che assale Dante circa la memoria che egli potrà avere della profezia di Beatrice: E io: «Sì come cera da suggello, che la figura impressa non trasmuta, s, segnato è or da voi lo mio cervello. Ma perché tanto sovra mia veduta vostra parola disi:ata vola, 113

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