Il piccolo Hans - anno XVI - n. 62 - estate 1989

la troviamo nel fatto che il brano liviano (al contrario delle testimonianze di Arriano e di Plutarco) non viene né citato né localizzato. Ahimè, Paparrigòpulos lo sapeva fin troppo bene cosa aveva detto Livio «con somma accuratezza». A questo punto, dunque, mi pare che il secolare silenzio degli intellettuali greci sull'episodio narrato dal Romanzo antico e poi sviluppato da quello moderno sia un silenzio fin troppo loquace. Esso ha tutta l'aria di una rimozione collettiva. Parlare di quell'episodio significa guardare in faccia la realtà (quello che potevamo essere e che non siamo), significa riconoscere che l'identità nazionale è un problema irrisolto, che il rapporto con l'Occidente è in effetti traumatico. Così la tradizione personale riesce a ideologizzare la figura di Alessandro a patto di leggervi soltanto un simbolo, drammatico quanto si vuole ma in fondo non inquietante (perché non mette in pericolo l'identità europea della Grecia ma, al contrario, la galvanizza): il simbolo della lotta di liberazione contro i Turchi. Si tratta di un'utilizzazione ideologica vistosa, e addirittura monotona, che si ripete da cinque secoli: a partire da una quattrocentesca profezia ex eventu messa in bocca ad Alessandro morente: E un'altra cosa sappiate, che in seguito i Persiani [= Turchi] domineranno la Macedonia come noi dominammo la Persia fino, per esempio, al letterato G. Skordelis che scrive nel 1883: Il popolo greco leggeva avidamente le verisimili e le inverosimili imprese del grande Macedone e dal profondo del cuore si augurava che il Dio dei Cristiani risuscitasse un qualche novello Alessandro � er liberare il popolo dalla tirannia degli infedeli 0 • 75

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