da quanto ho potuto verificare, manca qualunque cenno all'episodio in questione. Ancor più sorprendente tuttavia è il silenzio degli scrittori e persino dei filologi greci dell'Otto e del Novecento. Più sorprendente perché, a partire dalla prima metà dell'Ottocento, la cultura letteraria greca si riappropria del Romanzo nell'ambito di un più vasto recupero della lingua e della tradizione popolare, recupero che è strettamente legato a ben note «scoperte» europee (Fauriel, Tommaseo) e che presenta nevralgiche implicazioni ideologiche. Per farsene un'idea è necessario qualche cenno supplementare. Nella cultura neogreca - tangibilmente fino al 1922 (quando, con la cosiddetta «Catastrofe micrasiatica», il sogno irredentista di «riprendere» Costantinopoli subisce il definitivo collasso) e in modo più o meno latente in seguito-è inevitabilmente presente un conflitto di prospettive (conflitto che .ritroviamo peraltro, sia pure in misura e con esiti molto diversi, anche in altre nazioni moderne che hanno avuto una tradizione classica). Possiamo parlare con Michael Herzfeld, che è recentemente tornato sull'argomento con un libro interessante14, di un conflitto fra introversione e estroversione. Da un lato il rinnovato interesse del «filellenismo» occidentale, improntato a entusiasmi archeologici byroniani, suggerisce ai Greci un modello nazionale di tipo classicista: la Grecia - il più giovane stato, la più antica nazione-è allora l'ombelico dell'Occidente, l'erede della civiltà di cui tutti siamo «figli»15. Il fenomeno dell'arcaismo linguistico, quale si sviluppa nell'Ottocento e quale, in certa misura, sopravvive tutt'oggi, può essere considerato come il portato più vistoso di questa ideologia eterodiretta-la lingua «pura» è il «salotto buono», come dice Herzfeld, da mostrare agli europei. L'altra faccia della medaglia (apparentemente dotata di autonomia: in realtà si tratta soltanto di una prevedibile «risposta», ovverosia di un suggerimento più 70
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