Il piccolo Hans - anno XVI - n. 62 - estate 1989

oscurato tutto... Precipito in un abisso fatto di tempo...» - rompe il movimento oscillatorio vicino-lontano, e impone una sospensione laddove l'ago ha raggiunto la maggior ampiezza d'escursione includendo nella stanza (il punto più marcato del ravvicinato) il suo contrario geografico e logico: l'oriente. "Io" labile, "io" multiplo Avevamo mostrato in Hopkins le figure dell'opposizione e dello sdoppiamento, la lotta della mente che si innalza contro se stessa, montagna e abisso, una parte a torturare l'altra: pensieri contro pensieri, cuori che stridono contro se stessi. Una solitudine divisa al suo interno da un «io» dialogante, dal sorgere di un controcanto, si espone a se stessa nell'invocazione di un richiamo, di un attimo di ispirazione che susciti ancora una volta quell'altra parte della voce che grida il suo squillante tuba mirum. Avevamo insistito sulla brevità di quella voce, stretta fra il visibile e il parlato, espressa drammaticamente nel sonetto 69 dove il poeta si ritrae con orrore dall'immagine del proprio volto riflessa in un cucchiaio: il mostro che gli appare lo inchioda in quella brevità allucinata di gesti e di sguardi. C'è nella litografia di M.C. Escher -Band with Refiecting Sphere - una mano che viene, sotto, dal fuori quadro a sorreggere una sfera in cui si riflette la figura di chi regge la sfera. Ci sono anche due mani che si disegnano l'un l'altra - Drawing Hands - in entrambi i casi l'idea funambolica di «io» in vertigine, sospeso a una parte di se stesso, come a un mostro separato dal suo accidentato «io», ci porta oltreHopkins alla «mano sul tavolo» di Pessoa. Qui la duplicazione è spinta a livelli mai raggiunti. Questo poeta drammatico, pieno di voci e di persone, che scrive poesia lirica, ha creato più di dieci eteronimi che 30

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