Il piccolo Hans - anno XVI - n. 62 - estate 1989

per eccellenza il lontano...); la crepa, il suo opposto, schiaccia ogni costellazione ordinatrice di punti e fa di ogni pensabile Oriente una questione di archeologia, questione di qualche cosa che sta sepolta non si sa bene dove, come la Roma Quadrata, passibile di emergere improvvisamente da una fenditura o frattura, in sé dunque già metafora del sepolto/riscavato. Aggiungerò appena questo: che la frattura del vaso ci riconduce, per un «vicus of recirculation» neppure tanto comodo, a un'altra polarità del Divan - Io zersplittern del primo verso del libro. Se si applichi con un poco di larghezza il criterio, appena indicato, della quotidianità/semplicità-ingannevole, della condensazione leggibile, potrei dire dello schermo che si dissolve proponendosi, quale tratto di famiglia preconscio per la figura di un Oriente (enfatizzando l'articolo indeterminativo), non è azzardato servirsi di qualche altro scrittore d'oggi, Antonio Porta per esempio, due recenti libri del quale: Passi passaggi (Mondadori, 1980) e Invasioni (idem, 1984) esibiscono non pochi testi congruenti al proposito. Ancora una questione di vasi e di frantumi, nella sezione «Come può un poeta essere amato» di Invasioni, dove si identificherà un modo di concisione, di essenzialità linguistico-ritmica, una tendenza incoercibile a trattare la metafora come pura entità fenomenica, che non disgradirebbero alla retorica dell'haiku: poesia: vaso rotondo, liscio e bianco, chiuso galleggia sul fiume tumultuoso, scrosciante ma io prendo un martello pesante, lo lancio dalla sponda, lo faccio a pezzi, centrato in pieno in quell'istante e per sempre sprigiona tutta la sua luce 21

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