Il piccolo Hans - anno XVI - n. 62 - estate 1989

Il riconoscimento eventuale procede su due livelli: il livello degli schemi formali e il livello dei grandi simboli che strutturano la maniera stessa di confrontarsi con la poesia. La chiamata in causa di Magrelli, per esempio, smette di apparire arbitraria se si cerchi di leggere quel bel libro che è Nature e venature con la mediazione di una pagina di Roland Barthes («Digressions», in Le bruissement de la langue) sul genere letterario giapponese dell'haiku, che «con una sua tecnica ovvero attraverso un codice metrico, ha saputo fare evaporare il significato; rimane soltanto una sottile nuvola di significante, ed è proprio a questo punto, a quanto pare, che con un'ultima torsione esso assume la maschera del leggibile, copia, privandoli tuttavia di ogni riferimento, gli attributi del "buon messaggio" (letterario): la chiarezza, la semplicità, l'eleganza, la finezza...». L'identikit barthesiano funziona per Magrelli in questo senso: che nella sua poesia riconosco la capacità di dissolvere - lessicalmente, ritmicamente - la buona quotidianità degli oggetti, degli scenari, dei motivi adibiti, non dirò in una mala ma piuttosto in una quotidianità vibratoria che evapora (evacua) il proprio valore referenziale in un sistema elegante e mendace di leggibilità. Fragile, ma non impossibile cordone che lega alla «figura dell'Oriente» testi che non pensano neppure a menzionarlo. È poi la crepa, la fenditura, attraverso la serie associatrice che risale da Mallarmé a Goethe, secondo la logica di questo discorso, a proporre un fantasma di raccordo più profondo, che chiama in causa, come ho già detto, il piano dei simboli strutturanti. Se per Goethe e il Divan si è parlato di una distanza come asse ideale che organizza ogni possibilità di contatto e di fusione, per cui il distante è solo l'altra faccia del più vicino (difatti Goethe è contemporaneo al suo Oriente mitico-poetico - felice disturbo percettivo che magnifica 20

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