Il piccolo Hans - anno XVI - n. 62 - estate 1989

Ricevo da te questa tazza rossa per bere ai miei giorni uno ad uno nelle mattine pallide, le perle della lunga collana della sete. E se cadrà rompendosi, distrutto, io, dalla compassione, penserò a ripararla, per proseguire i baci ininterrotti. E ogni volta che il manico o l'orlo si incrineranno tornerò a incollarli finché il mio amore non avrà compiuto l'opera dura e lenta del mosaico. Scende lungo il declivio candido della tazza lungo l'interno concavo e luccicante, simile alla folgore, la crepa, nera, fissa, segno di un temporale che continua a tuonare sopra il paesaggio sonoro, di smalto. Non è più lo stesso impasto di caolino, silice e feldspati su cui il pennello, nell'«ora cinese» di Mallarmé, schizzava un altro paesaggio, improbabile difesa contro il Pays cruel e la morte. Vi si è aperta una crepa, quella frantumazione che Goethe ipotizzava solo per un istante, subito suturata dalla grazia divina. Nella poesia di Magrelli, tazza o bicchiere poco importa, essa non è più cancellabile: la fenditura, o almeno la sua cicatrice, permane «segno di un temporale» che non finisce mai. Si può ricostruire in questo modo il rapporto OrienteOccidente anche per certi libri e autori della contemporaneità che pure non sembrerebbero legati ad esso né apertamente né allusivamente? 19

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