Il piccolo Hans - anno XVI - n. 62 - estate 1989

d'oro. L'immagine proposta da Goethe è quella di un sobrio bevitore: il re di Thule. Ogni individuo svezzato, non dipendente, non depresso, nel senso proprio di individuo indipendente, è il re di questa ballata di Goethe. Egli sembra conservare la coppa d'oro come contenitore che placa e seda e, ad un tempo, dà il senso della realtà: ha un suo valore anche al di fuori dell'uso, è d'oro, e perciò ambita ed ammirata anche da altri. È, si direbbe, l'eredità che lascia la madre. In questa coppa l'ardore della vita, la «Lebensglut» che dà l'ebbrezza, la carica istintuale, diremmo noi, può essere misurata e dosata. L'eccitazione non rischia di sopraffare il bevitore che, al di là del vino, guarda alla coppa: «die Augen gingen ihm uber so oft er tranlc darus» (i suoi occhi andavano ad essa ogni volta che egli vi beveva). Tra un banchetto e l'altro la coppa resta, vuota, senzà ansia, senza paura. Nulla, neppure il vino e l'esaltazione che esso comporta, il sentirsi re appunto, cinto di un serto regale «è più importante di essa» («es ging ihm nichts daruber»). Sarebbe questo ciò che, al di là di quel che si consuma e si perde, rimane come pegno fisso a chi è svezzato, autonomo. Molte difese di tipo maniacale e onnipotente intervengono nei confronti di una simile posizione depressiva che comporta il vedere, al di là della Lebensglut, e del proprio possesso della coppa, che garantisce il controllo di sé e quindi in qualche modo degli altri, che essa è bella di per sé, è d'oro e soprattutto ci è stata data da altri. La fedeltà è all'oggetto perduto da cui sembra dipendere il nostro essere, prima che il nostro e.x-sistere (Winnicott, Balint): una fedeltà che non è appunto mai assoluta. Il momento della fedeltà sembra essere momento di poesia, di sentire poetico, proprio nel senso anche della poesia, del fare, in quanto l'oggetto è personalmente ricreato. Costituisce il perno, intorno a cui ruotano le difese dell'individuo sano, capace di recuperare più a lungo o 200

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