Il piccolo Hans - anno XVI - n. 62 - estate 1989

menso che l'Europa ha verso la cultura araba. Il mio viaggio attraverso la poesia araba poteva anche dirsi concluso dal momento che non mi illudevo di poter più recuperare quella lingua di cui ero solo riuscito a percepire la pronuncia poetica di eccezionale forza e suggestione. Mi aveva colpito la disponibilità immediata a trasformarsi in gridolino modulato e poi in canto ma soprattutto il trasferimento di tutto il corpo nella voce, che sale e scende dal diaframma e diventa rauca, aspirata, melodica. Vorrei dire meglio e forse di più: l'emissione poetica della voce in lingua araba costruisce un altro corpo rispetto a quello visibile, per cui la lingua viene percepita come meno astratta della nostra, più immediatamente trasfigurante e insieme comunicativa. Una lingua che mette in evidenza le proprie radici materiali e stormisce, come le foglie di una quercia attraversata da un vento impetuoso e teso. In quell'occasione ho conosciuto Adonis (nato nel 1930, libanese di origine siriana, ora residente a Parigi) che molti, non tutti, considerano il più importante poeta contemporaneo di lingua araba. Ho scritto «molti, non tutti» perché a Gibellina qualcuno mi ha fatto notare che quella definizione di «poeta più importante» non era accettabile; ho capito solo più tardi perché e la questione si chiarirà seguendo il mio racconto ma può già essere riassunta in una frase: perché Adonis è considerato moderno e difficile, al di fuori della tradizione legata all'oralità e dunque ai modelli di poesia più facili e popolari. Adonis ha raccolto in un prezioso libretto le quattro lezioni che ha tenuto nel maggio del 1984 al Collège de France, su invito dell'Assemblea dei Professori. Adonis ha scritto le lezioni in arabo, le ha pronunciate in francese e poi le ha pubblicate tradotte, in collaborazione con Bassam Tahhan e Anne Wade Minkowski, con il titolo Introduction à la poétique arabe (Paris, Simbad, 1985). Leggendo queste lezioni ho imparato molte cose, forse tutte già 180

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