sca Corrao, una singolare e rivelatrice antologia poetica, Poeti arabi di Sicilia (Mondadori, 1987), frutto di un'impresa considerata temeraria dai più: far tradurre a poeti italiani contemporanei, che non conoscono la lingua araba, i poeti arabi che hanno operato nella Sicilia saracena. Si sa che i poeti amano il rischio, così molti, e tra i più noti, da Sanguineti a Zanzotto, da Fortini a Raboni (in tutto 19) hanno accettato la sfida e hanno lavorato sulle traduzioni esistenti dei maggiori arabisti italiani, integrandole con le note e le fresche osservazioni di Francesca Corrao. L'operazione, di stampo ereticale, dal punto di vista delle accademie, è stata invece salutata con favore da Francesco Gabrieli, che da vero maestro è pronto ad appoggiare ogni iniziativa vitale e affettuosa nei confronti della cultura araba, e accompagnata dall'adesione di un altro maestro, Luciano Anceschi, che ha sottolineato nell'introduzione la ricchezza e la flessibilità del linguaggio poetico italiano contemporaneo nell'affrontare una prova tanto ardua di trasposizione da immaginario a immaginario a distanza di mille anni. Non basta. L'infaticabile Francesca Corrao ha organizzato una lettura pubblica delle traduzioni a Gibellina (1819 settembre 1987) nello splendido auditorium all'aperto progettato dall'architetto Venezia nel nuovo centro culturale di quella città che si è inventata un futuro a partire dalle distruzioni del terremoto. Lì sono convenuti molti dei poeti italiani traduttori e lì hanno potuto incontrare alcuni poeti arabi contemporanei, di varia provenienza (alcuni in esilio). Da questo incontro è scaturita una scintilla, segnale di una riscoperta e di una vicinanza che nessuno sospettava. Dopo mille anni, in Sicilia, poeti di lingua araba e di lingua italiana hanno letto insieme, in pubblico, alternandosi. Un piccolo, se vogliamo, ma significativo inizio di risarcimento culturale per tutto il rimosso di centinaia di anni nei confronti del debito im179
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