nazione ai sistemi culturali inerenti all'assetto del mondo, esterno o interiore. Per quest'ultimo riguardo, se il «reve» rappresenta l'apice, o il centro, del sistema linguistico-culturale entro il quale si colloca il Monologue e quindi sposta, relativamente al campo noètico dell'interiorità, la cultura del Parnasse che altrove lo imbeve6 (si veda ancora il brano centrale e immutato delle tre versioni, ove figura già il vocabolo «ombre», non ancora iterato alla fine, come sarà nell'Après-midi, e tuttavia capitale, in quanto indice di trasposizione dei dati sensibili), questo non intacca per nulla la posizione subordinata del linguaggio rispetto all'oggetto, mentale o esteriore, la sua funzione mimetica (riprodut_tiva) nei riguardi dell'esperienza. Nell'Après-midi invece, il linguaggio, come abbiamo visto, si fa esso stesso produttore di oggetti, di situazioni e di stati, sia pure in concomitanza intermessa col metadiscorso che ne definisce il nuovo statuto e all'interno di uno schema narrativo che permane identico a quello del Monologue, anche se spogliato della cornice scenica. D'altra parte, per il nuovo zoccolo epistemologico sul quale riposa il poema, esplicitato nei due brani centrali e lungo i confini del testo, anche i blocchi interamente ripresi e ritoccati solo localmente (in sostanza il lungo brano della continuazione del «récit»), risultano, per la ripercussione su di essi di questi effetti di struttura, totalmente rinnovati. Comunque, per provvedere a un rapido censimento dei principali processi innovativi messi in atto, si potrà segnalare subito che, alla nominazione diretta, subentrano le diffuse e insistite procedure dell'allusione, conformemente alla famosa indicazione intorno al lavoro su Hérodiade contenuta in una lettera a Cazalis: «peindre, non la chose, mais l'effet qu'elle produit»7 : il che significa, scomposizione dell'oggetto nei sèmi che lo costituiscono, e produzione selettiva soltanto di questi. Al limite, tali proce169
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