a una situazione di coscienza che trova nel «reve» il luogo ideale della remunerazione. Ma non si tratta solo del momento conclusivo dell'«aneddoto». Questa parola-chiave del Monologue figura, nella pieriezza del sostantivo, proprio al centro del poema (al v. 54, e perciò strutturalmente relazionata al «rever» del v. 103), nel brano rimasto pressoché immutato in tutte le versioni. La lettera è, nel Monologue, del tutto esplicita in merito al nostro discorso: «Pour que mon regret soit par le reve écarté» (affinché il mio rimpianto - per la fuga delle ninfe - sia accantonato dal sogno). Col fauno dell'Après-midi, il narcisismo del Soggetto passa dal piano dell'Immaginario al piano del Simbolico, quale è rappresentato, per essenza e definizione, dal linguaggio, considerato nella sua dimensione e nella sua funzione originarie: e cioè come struttura di separazione e, per ciò stesso, come il luogo della fondazione del Soggetto e dell'articolazione della realtà. Non per nulla, dal verso del Monologue qui sopra citato, inclusivo della parola-chiave «reve», viene espunta, nella ripresa del '76, proprio questa parola, sostituita da «feinte», finzione (a proposito della quale sarà opportuno ricordare il «fingo» dell'Infinito leopardiano, quale è specillato in una celebre glossa di Ungaretti4). Se la fuga delle ninfe nel Monologue, la loro assenza nell'Après-midi, designano la dimensione costitutiva del «manque» che caratterizza la realtà, la remunerazione di esso è collocata, dal fauno del Monologue, nel «reve» (piano dell'Immaginario), ma dal fauno del '76 nel linguaggio, nella finzione letteraria (piano del Simbolico). Il «regret» per quella mancanza risulta ora rimosso dalla «feinte»: «Pour bannir un regret par ma feinte écarté». È l'invenzione verbale che fonda il principio di realtà, assorbendo in se stessa le varie situazioni dell'Io sul piano dell'esperienza storica e perciò assicurando al Soggetto, come è detto nel mirabile inizio della conferenza su Vil166
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