Il piccolo Hans - anno XVI - n. 62 - estate 1989

deserto nati l'uno dall'altro, l'uno sull'altro, come aveva scritto Hardy. «La condizione di una vita vigorosa che tanto da vicino rassomigli al torpore della morte, è cosa notevole di per sé; far vedere l'inerzia del deserto, e allo stesso tempo esercitare una forza affine a quella del prato, o persino a quella della foresta [...]»: una stessa vita, cui era immanente tanto il torpore della morte quanto il fervore del prato. ma potrà mai il racconto di Marlow, demonico, anticipatore, mettere in gioco se stesso, mostrarsi vita fra le vite? un racconto in guerra con la vita: a tanto sono giunta. Eroico esso solo e ansiosamente intento a preservare la propria unicità. Un fare della memoria che ha sotto di sé l'immemorabile, l'incompiuto, l'insignificante; ma che non entra in quella incompiutezza, non si fa contagiare da quella insignificanza. Solo se stesso quel racconto ha a cuore: la propria memoria, il proprio stesso dire. Inesauribile tautologia. Al di sotto, solo vite senza valore) "ti ricordi dei topi?" (p. 22) Tutto proteso com'è verso se stesso, a volte capita però che il racconto di Marlow bordeggi delle zone più oscure, più dense, più opache. Zone che, pur presentendole e saggiandone a tentoni i confini, non riesce tuttavia ad aggredire direttamente, esercitando su di esse la forza dissolvitrice del simbolo. Zone che si potrebbero dire dominate, più che dallo squillo vittorioso dell'impresa, «Do or Die», dall'iniziale dichiarazione d'impotenza dello stesso Marlow: «and you can't». È il racconto, in quei casi, che «non può», o «non ce la può»: non già come voce narrante, perché tutto è pur sempre «detto» da Marlow, ma come energia produttiva di significato. Immerso nel mare sconfinato delle cose narrabili, il 142

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