Il piccolo Hans - anno XVI - n. 62 - estate 1989

cessario perché il racconto avrebbe bisogno di quell'inafferrabilità, non tanto a specchio di un dato di vacuità connaturato al referente-ché di quest'ultimo per la verità nulla ci viene detto direttamente- ma come punto d'innesto della propria forza. Sarebbe quello il momento delle sue forze: quando il nulla lo letteralizza nei suoi simboli e lo fa apparire come un'ombra salda. È la nave in Youth, la vecchia Judea, ad essere esposta fino in fondo, fino alla dissoluzione di se stessa, al patimento cui la nullificazione dell'«o» che reca nell'impresa condanna la vita. Ogni vita. Ormai sul punto di cedere definitivamente al fuoco che la consuma dall'interno, essa mette in mare le sue scialuppe: quanto di lei stessa giungerà alla meta prefissata. In quell'istante supremo di autorealizzazione essa è vista da Marlow attuare, come fosse un'elegante manovra d'entrata in porto, il suo perfetto fare-morire, «passerella che scavalca il nulla, gettata sul mare profondo, verso la morte» (p. 26). Tutto attorno, oltre il cerchio delle fiamme, «notte impenetrabile» (p. 30). Di quella notte, il racconto illumina la vita. (di nuovo, sono stata risospinta verso una tematica critica connaturata al testo conradiano, ad esso ingenua, perché nata insieme ad esso: nella figura di Marlow, che ne è come l'istanza critica preveniente. Il suo eroismo di narratore anticipa quello futuro del critico: sull'impossibilità moderna della tragedia, egli impone il suo sguardo critico di narratore, che marchia l'esistente di un insanabile dualismo. Della possibile anteriorità della conoscenza sulla vita, Marlow è la personificazione: del problema cioè che quella possibilità, anche soltanto a pensarla, pone alla vita. In questo egli è demonico: nello scambiare sempre il prima con il dopo, nel mettersi fuori dal tempo dell'azione. Nell'essere disposto a pagare questo prezzo pur di sapere già tutto: per aver solo da raccontarla, la 140

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