limite essa è allo stremo: più oltre non si può andare nell'immaginazione della propria fine. Il racconto non può essere più eroico di così. Un identico nulla è apparso, dunque, tanto dalla parte del «fare» quanto da quella del «morire». Entrambe queste azioni sono nulla: sono «nulle». Non avrebbe più senso, ora, la scelta della morte in nome della vita. Nemmeno l'offerta di se stesso a una morte rituale laverà fino in fondo lord Jim dalla macchia di non essersi consegnato, per puro senso del dovere, all'«elemento liquido»: quando il gesto che sarebbe dovuto risultare facile e istintivo si era rivelato invece misteriosamente impossibile. Dacché quell'identità è apparsa, è il racconto, infatti, la sola forza che monda: l'«o» dell'impresa, il vero ago della bilancia. C'è il deserto- la vita col suo insenziente «fare»- e c'è la virtù germinativa del prato, che del deserto fa pascolo e nutrimento. Il racconto difende la vita dalla morte che è in essa, fa barriera contro il deserto che avanza. Prende anzi alimento dal deserto, e germoglia di lì i suoi fiori più belli. «Gli individui, quali fiori e piante tese in alto, nascono dal loro proprio suolo e dall'esistenza di esso sono condizionati»8 : solo che ora, si scopre, quel suolo è un deserto. Il racconto comincia dal deserto, ma non se ne lascia condizionare; trasforma anzi il vuoto, il nulla che è in esso, in significato. E poi, avendo rischiato tutto, giunto allo stremo delle forze, si spegne. Marlow finalmente tace. Necessario è allora il gesto col quale Conrad, ripetutamente, torna a collocare le proprie storie in una zona d'indistinzione tra il carattere e il destino; «nel contesto colpevole di ciò che vive»9 , prima che il nodo colpevolezza-innocenza arrivi a delinearvisi nettamente. In una sfera anteriore e resistente alla codificazione giuridica e familiare, di assoluta non-appartenenza per l'individuo: jn quella terra di nessuno quale sarebbe per la rappresentazione letteraria un universo pre-tragico e pre-epico. Ne139
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