Il piccolo Hans - anno XVI - n. 62 - estate 1989

si presenta proprio in capo al West-ostlicher Divan. Quanti Orienti... Persiano, indiano, cinese, giapponese, onirico, biblico - quello di Voltaire, di Beckford, di Coleridge, del dottor Mardrus, e ancora. Una fascinazione percorre l'Ottocento e arriva a Baudelaire che, come ho detto, la ha in certo modo «absolument chàtrée». Difatti, qualcosa la castrazione deve avere a che fare con questo «desiderio d'Oriente», la sua magnificà'zione e falsificazione sfrenate, l'eccesso scenografico, il bazar dei travestimenti, l'opéra (magari sublime: Il flauto magico), la riduzione popolare in vignetta e, parallelamente, la sua rimozione, il vuoto lasciato come vuoto di un'orma. Un superamento dell'Oriente, d'ogni Oriente, per avvertire la svolta della poesia, lo somministra proprio Mallarmé, scrittore del tutto refrattario a qualsiasi esotismo o colorismo. Basti confrontare due testi, «Las de l'amer repos» (1864) e il sonetto dedicato a Vasco de Gama, «Au seul souci de voyager» (1898). «Las de l'amer repos» fissa la condizione vorrei dire metapsichica di ogni ancor possibile adempimento di «chinoiseries» (è il caso di dirlo!) nell'imitazione dell'atto pittorico del «Chinois au coeur limpide et fin»: sulla superficie di neve della tazza (tazza o vaso, vorrei mostrare un poco più avanti che non intervengono solo come aggeggi secondari nel dispiegarsi del rapporto «poetico» Occidente/Oriente) s'inscrivono una sottile linea azzurra, tre cigli smeraldini... già ben altro che mimetismi parnassiani - geroglifico, ideogramma che annuncia la félure, del resto preavvertita dai «trous vides». L'Oriente di «Au seul souci de voyager» s'impernia, anziché a un atto, a un significante, Inde, la cui seduzione è legata alla brevità stessa del segno grafico-fonico: quattro lettere, una sillaba, e dunque a una funzione contemporaneamente di evocazione potente e di cancellazione, tipica 14

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