Il piccolo Hans - anno XVI - n. 62 - estate 1989

mo cogliere nel suo nome, non l'accordo complesso della vita, ma la nota secca e isolata della caduta: dell'urto che la spezza, la vita. Nella notte, la scialuppa di Marlow batte sulla banchina invisibile dell'Oriente. Termina lì la sua corsa. "non ci riesci" (p. 9) E la cronaca di Marlow è, anche, illustrazione di questa vacuità dell'esistere; del vuoto, dell'assenza di motivazioni plausibili all'azione che essa solidifica in immagini apprendibili dai sensi, o almeno da un senso: l'udito. Le sue parole costruiscono l'immagine auditiva di quel vuoto. Sappiamo come il mare - il territorio sul quale egli vede esplicarsi la Legge - coincida per lui in tutto e per tutto con la Marina Mercantile Britannica e i suoi regolamenti: una zona privatizzata, penetrata da un'etica commerciale che vuole dovere sommo del capitano, anche nell'emergenza estrema e a rischio della sua stessa vita, la preservazione del massimo dei beni, delle cose o parti di esse, di proprietà della compagnia armatrice. Un'etica dalla quale è relativamente facile prendere le distanze col pathos o coll'ironia. E saggiamente Marlow si lascia aperta questa via d'uscita da un coinvolgimento personale troppodiretto. Quando il momento di abbandonare la nave infine giunge, concentra tutta la sua attenzione di narratore sul capitano: «Il vecchio ci ricordò, col suo modo gentile e inflessibile, come facesse parte del nostro dovere mettere in salvo quanto più potevamo dell'attrezzatura della nave[...] Cosa non prendemmo? Un vecchio barometro quasi mi costò la vita [...] pezze di tela, rotoli di funi[...]. Egli era molto, molto tranquillo, ma era evidente che aveva perso la ragione» (p. 30). Così il dovere è fatto qui sconfinare nell'idiosincrasia, nella debolezza individuale. La Legge svela fattezze incerte, inafferrabili; 137

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