Il piccolo Hans - anno XVI - n. 62 - estate 1989

bie gialle; la terra delle nazioni brune governate da re più crudeli di Nerone romano, più splendidi di Salomone ebreo» (p. 20). E fino all'ultimo - le scialuppe sono ormai in porto, su un mare «azzurro come il mare di un sogno», con gli uomini venuti dall'Occidente, «esausti, addormentati, ignari della terra, e delle persone, e della violenza del sole» (p. 38)-egli fronteggia così l'ignoto, rappresentandoselo come una distanza, sia pure incalcolabile, del tempo storico: «questo era l'Oriente degli antichi navigatori, così vecchio, così misterioso, fulgido e cupo, vivente e immutato, pieno di pericoli e di promesse» (p. 38). Il cammino della cultura avrà pur proceduto, come scrive Thoreau, da oriente verso occidente, ma ogni volta l'Occidentale, per esprimere il suo «nuovo», ha dovuto girarsi indietro: guardare a Est6 • L'ignoto diventa così, anche per Marlow, lo storicamente remoto: qualcosa di irraggiungibile, ma di conosciuto. Il nome dell'antico-Nerone, Salomone, Judea - si carica dell'aspettativa del nuovo che è nell'idea della giovinezza. Ma quello stesso antico è già finito, morto: esso è perciò «naturalmente» anche quell'Oriente-morte, quella giovinezza-fine, di cui l'illustrazione di Marlow ha bisogno, e che in nessun modo il nudo geografico Est, nella sua vuota letterale distanza, potrebbe significare. Quando l'Oriente per la prima volta parla a Marlow ventenne, esso è perciò già un oriente-occidente bilingue: «l'Est mi parlò, ma nella lingua dell'Ovest. Un torrente di parole barbare, rabbiose, mescolate a parole e anche a intere frasi in buon inglese, meno estranee, ma persino più stupefacenti» (p. 36). Il luogo è ignoto, ma arrivandoci si scopre di esserci già stati: poiché si muove con questo passo doppio, «il silenzio dell'Est» arriva a far sentire a Marlow «un po' della sua lingua» (p. 37). 133

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