La Ballata del Vecchio Marinaio di Coleridge. «-Bangkok!»: la voce di Marlow torna ripetutamente a poggiare su questo nome: «nome magico, nome felice, al cui confronto la Mesopotamia non era nulla» (p. 18). Generalmente esso è posto all'esclamativo ed è preceduto da un segno di sospensione: sì che dobbiamo sentirlo staccato dal flusso delle parole come da una pausa musicale, e collocato in un tempo di esecuzione verbale tutto suo. La voce deve essere immaginata arrestarsi e raccogliere le proprie forze prima di pronunciarlo nell'intonazione indicata. Spazio e tempo vi confluiscono, a formare l'immagine complessa di una lontananza che, potendo esser desiderata, è in qualche modo anche avvicinata. E sull'indefinito di un tempo senza cominciamento, senza compimento, entro il quale è visto prendere inesorabilmente forma lo spazio circoscritto della morte, aprono pure gli altri moduli ritmanti: l'invocazione «O Youth!», e il sospensivo «Pass the bottle... ». Con ostinata determinazione, dopo infinite ripulse del mare, torna a far vela verso l'Oriente, verso quell'idea di luogo, la vecchiaJudea, recandovi in offerta già nel nome - «strano nome, non è vero?» (p. 10) - il tributo di un Oriente più vicino spazialmente, ma remoto nell'abisso cronologico che spalanca. Con un capovolgimento di prospettiva, l'antico viene piegato a significare l'ignoto, la pura vuota lontananza. Ciò che, come assolutamente non conosciuto, sarebbe semplicemente inesprimibile-il lontano, !'«estremo» dell'Oriente: la morte che è in quella lontananza - si lascia tuttavia afferrare, come una profondità del tempo, come «antichità»: così stringendosi in un unico atto di presenza il noto e il remoto. La terra sembra vicina, ma in realtà la prova più dura deve ancora venire, la prova del fuoco: Marlow pensa, e implicitamente si identifica, «agli uomini dell'antichità che, secoli prima, si erano messi su quella stessa rotta, [...] verso la terra delle palme, e delle spezie, e delle sab132
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