Il piccolo Hans - anno XVI - n. 62 - estate 1989

febbraio 1842. Lo stesso giorno Baudelaire scrive una lettera alla madre, e una al generale Aupick. A costui, dandogli notizia del ritorno, il poeta dice: «Je crois que je reviens avec la sagesse en poche». Il patrigno coglierà la sferzata della frase? Nostalgia del paese che non so. Nostalgia più prossima alla saudade che al mal du pays, più vicina allo spleen che alla patologia che Johannes Hofer descrisse nella sua Dissertatio medica de nostalgia con la quale inaugurava l'avventura di una parola e la fenomenologia dei mali dell'esilio. Il paese baudelairiano che nel primo dei poemetti in prosa (EEtranger) coincide, romanticamente, con «les nuages» (la Volkenheimat di cui diceva Jean Paul), nel poemetto in prosa Invitation au voyage, omonimo del testo poetico, sovverte ogni designazione senza tuttavia dissiparsi nell'indistinto altrove: un paese «qu'on pourrait appeler l'Orient de l'Occident, la Chine de l'Europe». Non una trasvalutazione del luogo nella a-topia, ma l'infrazione della distanza geografica che il viaggio intende abolire e l'esotismo avvalorare. Dominio dell'interiorità: tempo immobile nel quale ogni tempo e ogni spazio convergono, sovranità nel fantasticare che un corpo dischiude. L'analogia stende la sua ala, guidando i pensieri-navigli verso l'antico abbraccio del mare con l'infinito: «Ces énormes navires... ce sont mes pensées qui dorment ou qui roulent sur ton sein». Nell'Invitation au voyage delle Fleurs du mal l'Oriente è materia luminosa per una versione familiare della felicità, per una ipostasi dorata dell'altrove, la cui perfezione è insieme assoluta e artificiale, struggente e impossibile. Anche in questa, che è tra le più dolci fantasmagorie occidentali dell'Amore, è il porto, con i velieri che giungono <<du bout du monde», a far da sigillo all'iconografia sognante dell'eros, al suo fremito di dissolvimento: 118

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