Il piccolo Hans - anno XVI - n. 62 - estate 1989

ma chiusa e del ritmo, così accetta il limite dell'astrazione e dell'eloquenza: quel che della prosa si perde torna avvalorato nel rigore marmoreo della forma. Il movimento del poème La Chevelure confronta il nero con il solare, il profumo con il paesaggio, il «pavillon de ténèbres tendues» con «l'azur du ciel immense et rond». Ma questo confronto annuncia la fine di una cosmografia rappresentata per stazioni d'avventura, per catalogo di sogni, per fantasticherie da esploratori. Annuncia l'affermarsi di una lingua dell'eros che ha nel suo stesso dizionario l'esperienza dell'altrove. Il viaggio con Baudelaire è conoscenza corporale, il corpo dell'altro è la terra in cui il limite dice l'infinito e l'infinito espone il limite che lo costituisce. Forse è per questa direzione che Baudelaire riprende dai moralisti il tema dell'interiorità, per riproporne nel moderno gli interni - di assoluto e di azzardo - liberati dalle divagazioni avventurose, dalle curiosità geografiche, dalle escursioni nell'altro che non incrinano il sé. Anche lo spleen, nei suoi abbandoni e abissi fantastici e profondamenti meditativi, è rivissuto in questa nuova mappa dove geografia e interiorità, «reverie» e senso, sono la stessa cosa. Il lontano è un tatuaggio del corpo, una sua movenza, un suo profumo, un suo passo di danza. Il vento e il cielo sono elementi del corpo. Nelle quartine de Le serpent qui danse è ancora il mare, il «mare odoroso e vagabondo» che il profumo porta con sé. E il «vieux Souvenir», ne Le Cygne, soffia su un porto, sui marinai dimenticati. Il viaggio di Baudelaire non è la riserva d'immagini per la futura poesia: è solo l'allegoria di una scrittura del viaggio che ha la partenza come figura centrale e definitiva, non l'approdo, né il ritorno. Nel tempo poetico questa partenza è il movimento del verso che abbandona le rive del silenzio per arrischiarsi in una dizione insieme elo114

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